La chiesa, intitolata a Gesù e Maria, è una pregevole opera di Domenico Fontana ed è composta da una vasta navata con cupola e transetto irregolare. La facciata mostra l’intervento romano del Fontana con l’inusitata soluzione (per Napoli) dei due campanili ai lati della facciata. Il portale è sormontato da un timpano arcuato spezzato al cui centro insiste un busto seicentesco della Madonna col Bambino. Al di sotto una lapide ricorda la donazione di Ferdinando Caracciolo. Colpisce l’assenza di una bella balaustra che delimitava i malconci sagrato e scalinata, da inserire nel novero delle opere rubate. All’interno erano custodite molte importanti opere, la maggior parte delle quali sono scampate alla razzia dei predatori d’arte. Tuttavia sono ancora presenti, sebbene necessitanti di un restauro, decorazioni di Giovanni Bernardino Azzolino, che dipinse in particolare gli affreschi della cappella di San Raimondo sul lato sinistro e della cappella con cupola del transetto destro. Di Belisario Corenzio invece sono gli affreschi della cappella del transetto sinistro, non speculare a quella destra in quanto sorge a fianco dell’abside. Anche l’altare maggiore risulta depredato, come del resto la balaustra in marmi rossi. Ai suoi lati sorgono ancora due monumenti funebri: a destra di chi entra il sepolcro di Isabella Guevara, opera di Dionisio Lazzari in marmi commessi e con statua della nobildonna genuflessa. Alla sinistra invece il sepolcro di Emilia Carafa. In fondo, è ancora presente lo scheletro degli stalli del coro ligneo. Un recente restauro ha rimesso in luce l’antico pavimento maiolicato e gli arredi del XVIII secolo. Nel transetto è presente una decorazione asimmetrica di intarsi marmorei molto deturpata ma di pregevole manifattura seppur rimaneggiata. Questo tipo di tecnica, del commesso marmoreo è una derivazione di un particolare tipo di mosaico chiamato opus sectile o mosaico a sezioni, di origine romana (III secolo d.C.), nel quale il disegno da rappresentare veniva formato da tessere di varie dimensioni, di marmo o vetro, tagliate e accostate nel modo voluto. Il mosaico a sezioni si trasformò nel XVI secolo in commesso di pietre dure e divenne una delle attività principali degli artigiani attivi alla corte medicea nell’ultimo decennio del secolo. La manifattura fiorentina, fondata da Ferdinando I de’ Medici nel 1588, si caratterizzò per gli straordinari risultati e per i suoi splendidi lavori. È utile ricordare che accanto a imprese architettoniche di straordinaria bellezza e preziosità il commesso marmoreo venne impiegato nella realizzazione di manufatti d’arredo. L’esecuzione dell’opera in commesso veniva realizzata mediante lo stesso procedimento tecnico a Firenze come a Venezia. Il pittore o l’architetto ideatore del progetto dell’altare eseguiva un disegno a colori del paliotto, quasi sempre in dimensioni reali; dal modello pittorico veniva ricavato un lucido su cui si operava per suddividere la composizione nelle varie sezioni costitutive. Una delle caratteristiche peculiari del commesso marmoreo è proprio di far risaltare le varie parti accostate con grande precisione in modo da far risultare le commettiture quasi invisibili. si disponeva l’opera su di un piano di comodo così che la parte a vista risultasse adagiata sul fondo. Quindi si procedeva alla spianatura del retro del paliotto, con dell’abrasivo a grana grossa, cercando sempre che le due facce fossero e rimanessero perfettamente parallele; in seguito veniva preparata una colla, formata in genere da una parte di colofonia e tre di cera d’api, la si metteva a scaldare e si versava il composto caldo sopra la parte rovescia del commesso. Dopo alcuni giorni la lastra di comodo veniva tolta e si procedeva alla pulitura della parte a vista che si presentava come una superficie opaca, occorreva quindi agire con abrasivi sempre più fini sino ad arrivare a uno stato di semi lucidatura. La lucidatura completa era raggiunta fregando la superficie con spoltiglio e lastre di piombo oppure con tamponi rivestiti di robusta tela. Il materiale di questi mosaici, anche se molto prezioso, costa molto meno del lavoro. Per imitare, per quanto possibile, le varie sfumature del disegno, si devono tagliare queste pietre, che sono estremamente dure, in parti molto sottili; ciò è ottenuto con molto lavoro e tempo, da operai qualificati in modo da non perdere alcun pezzo, usando con precisione la piccola sega.
Note Bibliografiche
Vincenzo Regina, Le chiese di Napoli. Viaggio indimenticabile attraverso la storia artistica, architettonica, letteraria, civile e spirituale della Napoli sacra, Roma, Newton Compton, 2004.
Cristina Scarpa La tecnica del commesso marmoreo da Firenze a Venezia
“Description historique et critique de l’Italie”, diM.. l’Abbé Jérôme Richard, tome iii, paris-dijon,