Restauro di dipinti su tela e su tavola

Oggi occupiamo  del restauro di dipinti su tela e su tavola, analizzando alcuni casi che ci parlano anche di storia delle tecniche e di come alcuni dipinti noti siano passati (più o meno indenni) nelle mani di diversi restauratori.

DIPINTI SU TAVOLA

Dietro a un dipinto su tavola c’è una grande lavoro di preparazione per rendere il supporto in legno consono a ricevere gli strati di pittura.
Possiamo immaginare l’opera come un “panino” di diversi strati, che sono messi in evidenza da microcampioni  (visti in sezione trasversale) come questo (estratto durante gli studi di diagnostica per il restauro del ritratto  di Giovanna Tornabuoni del Ghirlandaio  (Museo Thyssen-Bornemisza, Madrid):

stratigrafia tornabuoni

Si noteranno diversi strati:
1 preparazione (gesso e colla)
2 disegno preparatorio
3  verde di Boemia che fa da base a tutte le parti di incarnato
4-7 diversi strati di colore (poi completati da una mano di vernice)

Se la stratigrafia è un’indagine distruttiva, non lo sono le analisi multispettrali, quelle  condotte cioè sfruttando le diverse lunghezze d’onda dello spettro elettromagnetico  (ultravioletto, visibile, infrarosso, raggi X), permettendoci di indagare l’oggetto  a diversi livelli, da quelli più superficiali agli strati più profondi (come il supporto di un dipinto su tavola, l’eventuale presenza di tela di incamottatura, di sistemi d’assemblaggio, ecc.)

schema penetrazione lunghezze d’onda dello spettro elettromagnetico

tornabuoni UV e IR

Nel caso del ritratto della Tornabuoni, si è potuto scoprire, tra l’altro, che il laccetto girocollo era stato inizialmente pensato dall’artista come un filo di perle (grazie alla riflettografia IR) o che ci sono ritocchi sul viso (fluorescenza UV) o ancora stabilire la composizione dei pigmenti e la penetrazioni dei chiodi all’interno della tavola (radiografia).

Vi invito a scorrere il microsito del museo Thyssen-Bornemisza, dove è disponibile molto materiale fotografico sul supporto, sulla tecnica pittorica e sulle diagnosi fatte grazie alle analisi multispettrali.

Quanto al restauro del supporto in legno, abbiamo esaminato nel dettaglio due opere: l’Annunciata di Antonello da Messina e Lo sposalizio della Vergine di Raffaello.

Il primo è un caso esemplare per un problema molto diffuso: le infestazioni di insetti xilofagi (tarli).

Antonello da Messina, Annunciata
Per l’indagine sulla situazione fitosanitaria della tavoletta (condotta nel 2005) di cui abbiamo parlato a lezione, rimando interamente qui.

Lo Sposalizio della Vergine ci è servito, invece, per illustrare le tecniche usate nei restauri storici per rimettere in piano una tavola imbarcata.

Raffaello, Sposalizio della Vergine

Il problema è molto diffuso: il legno è un materiale igroscopico, che si espande e si contrae in base a temperatura e umidità. Come si legge nella relazione del restauro Molteni (1858), furono rimosse le due traverse originali, tarlate e assottigliate, e le farfalle di connessione ritenute non più funzionali.  Il raddrizzamento della tavola, durato tre mesi, fu realizzato applicando alternativamente panni bagnati sul retro (per far acquistare al legno una parzialmente elasticità) e sottoponendo l’opera a pressione mediante morsetti e lunghi strettoi sul recto del dipinto.
Portata la tavola a livello, le traverse originali furono sostituite con altre in legno di noce di notevole spessore, aggiungendone una terza, al centro. Anche le farfalle vennero sostituite con altre in noce e aumentate di numero (da 8 a 21) approfondendo le sedi.
Questo metodo (così come la parchettatura e il sistema dei cunei) oggi sono evitati  perché rischiosi, invasivi  e fortemente stressanti. Si preferisce monitorare attentamente il microclima e evitare telai fissi a favore di quelli con un sistema di molle interno (che assicurano maggiore flessibilità e seguono movimenti del legno).

Trasporto da tavola a tela
Considerata buona pratica conservativa e perciò molto diffusa ancora nell’800, in realtà comporta, oltre all’evidente snaturamento dell’opera ( la superficie liscia della tavola lascerà inevitabilmente trasparire la trama della tela), anche grandi rischi e danni reali.
Il metodo di stacco (così come ce lo descrive Picault nel 1700) agiva sulla preparazione di colla e gesso della tavola: riscaldandola, questa perde adesione e il dipinto scivola letteralmente via dal supporto.
Come dicevo, era tecnica diffusa nella seconda metà del ‘700 e soprattutto in Francia… purtroppo e per fortuna. Purtroppo perché operazioni così distruttive hanno lasciato il segno; per fortuna perché alcune opere non si sarebbero salvate diversamente. Penso alle requisizioni di napoleoniche, che hanno fatto man bassa di opere d’arte italiane (e non solo) per il Louvre: il viaggio si compieva in condizioni disastrose (passando le Alpi su carri trainati da buoi… altro che monitoraggio del microclima, riduzione delle vibrazioni o altri riguardi!) e una volta a Parigi il trasporto era l’unico modo per salvarle.
Per dire quanto il trasporto su tela sia ritenuto pericolosamente invasivo, basti pensare che a Firenze si è preferito mantenere i supporti in legno alluvionati nel ’67 piuttosto che sostituirne il supporto (aspettando e monitorando i movimenti del legno anche per 30 anni).

DIPINTI SU TELA

Le stesse tecniche di indagine preliminari al restauro viste prima sono altrettanto utili per le opere su tela, permettendo di vedere, per esempio, i ritocchi del Festino degli dei di Giovanni Bellini (National Gallery of Art di Washington).

Per quanto concerne i problemi del supporto, come la tavola si imbarca, anche la tela col tempo tende a sfibrarsi e perdere consistenza, fino a non essere più adatta a far da supporto al film pittorico.
Per eliminare pieghe e grinze si procede normalmente con calcature: si tende la tela su telaio, si inseriscono biette di legno (o si usano le originali se ci sono e sono in buone condizioni) e si spingono per dare nuova tensione alla tela (nel tempo basta dare un altro colpetto se perde tensione).
Non si può però agire solo tendendo gli angoli, che sarebbero sottoposti a stress eccessivo, per cui la soluzione migliore è un sistema di molle che distribuiscano la tensione.

Solo in caso di necessità assoluta, quando la tela ha perso il suo potere di sostegno irrimediabilmente (tagli, buchi estesi non riparabili) si procede alla foderatura, un’operazione traumatica che deve essere sempre ben ponderata.

La foderatura che consiste, in sostanza, nell’incollare una nuova tela sul retro di quella originale.
Il procedimento prevede la pulitura del retro della tela originale dalla polvere e da eventuali residui di colla con un bisturi, avendo precedentemente incollato sulla pellicola pittorica dei fogli di carta giapponese come ulteriore consolidamento. Se il dipinto presenta delle mancanze di tela o degli strappi, queste devono essere chiuse con degli inserti, mentre i tagli si suturano (buoni risultati si sono ottenuti con il nylon in polvere, che si fonde con il calore per poi rimanere elastico raffreddandosi).
La tela per la foderatura deve essere tesa su un telaio provvisorio, quindi viene bagnata con acqua (per eliminare l’appretto) e tirata di nuovo.
Sul retro del dipinto viene stesa la colla (che può essere di pasta, di cera o di resine termoplastiche); la stessa cosa viene fatta sulla tela nuova togliendo l’eccesso di colla, quindi si appoggia su questa il dipinto e si fanno aderire perfettamente le due tele.
Il quadro viene poi stirato ponendo tra il ferro da stiro (con temperatura e peso variabili e costantemente monitorati) e la superficie del dipinto un foglio di carta siliconata; questa operazione permette di far asciugare la colla e di unire le due nuove tele. Una foderatura può durare max 50-100 anni.

Ottimi risultati ha dato l’innovativa tecnica del sottovuoto, sia nelle operazioni di consolidamento degli strati pittorici e preparatori (perché permette di far aderire perfettamente strati decoesi  al supporto), sia nella fase di rifoderatura (perché fa aderire senza bolle d’aria o pieghe la tela originale a quella di rifodero).

Il caso preso ad esempio è quello della Pala Camaini di Giorgio Vasari (qui per la documentazione).

 

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